Volumi e opere grandiose richiamano al nostro spirito orizzonti infiniti e sogni eterei.
Sempre e sempre di piu’ in una società che si definisce pragmatica si parla e si discute attorno a questo tema centrale L’Amore, quel sentimento profondo fatto di sensazioni e momenti fugaci, di veloci scalate e di repentine cadute.
Quel sentimento fatto di luce e di ombra di sfavillanti momenti e di antri tenebrosi. Quella sensazione interiore che si installa permanentemente nel nostro stomaco e non molla un secondo la presa, quella sensazione che amiamo e odiamo con tutte le nostre forze. Quella struggente paranoia che prende i nostri occhi e le nostre mani nel cercare all’infinito un qualcosa che possa allentare quella presa attorno al nostro cuore. Quell’anelito di fame e di sete che vive e dorme con noi. Eroi di noi stessi nel cercare di innalzarci e scalare le montagne per arrivare a conquistare l’ambito e prezioso premio della supposta pace interiore. Nella scalata spesso cadiamo, ci sbucciamo mani e gambe, alcuni di noi si spiantano nella scarpata, ma puntualmente , insensibili al dolore, anzi piu’ forti , ci ritroviamo a riprendere l’impresa.
Apprendiamo che il dolore delle ferite ci rende più esperti, vecchi anfratti non ci fanno cadere piu’, ma sempre di nuovi ne scopriamo e dobbiamo superare nel nostro percorso. In cima ci ritroveremo a pezzi, stanchi , affamati, assetati, per un momento gioiosi della visione panoramica del mondo attorno, del bellissimo cielo aperto attorno a noi. Ma immediatamente ci ritroviamo a struggerci al pensiero di dovere, per un motivo o l’altro, abbandonare quel luogo appena conquistato. Eccoci pronti a correre a costruire barricate, palizzate, muretti per non ricadere dabasso; ma siamo pavidi, e non abbiam la prontezza di prevedere tutti i possibili buchi, ci affanniamo nell’erigere sontuose fortificazioni e poi cadremo lungo un pertugio sfuggito alla nostra attenzione. Il mistero dell’ Amore conquistato, il mistero della sofferenza e della paura. Di tutto questo è scritto in pagine e pagine.
Parliamo invece del modo di esprimere questo sentimento, pochi fermano l’attenzione sul nostro esser partecipi e complici di quello che ci attanaglia lo stomaco. Abbiamo espressioni che pronunciamo senza riflettere, e che a prima vista possono esser eteree e invece nascondono qualcosa di piu’ profondo. Un modo di dire classico della persona presa da fulgore amoroso è “lo faccio per te”.
Nel bene e nel male questo proferiamo quando ad esempio facciamo cio’ che ci sembra un bel gesto verso la persona amata ….”lo faccio per te” !!!!
Ma cosa vuol dire cio’ ????
Cosa si intende esattamente quando l’amore non è mai altruismo, ma è l’atto piu’ egoistico che ci sia sulla terra?
Cosa c’è di piu’ egoista che l’aspirazione alla felicità, anche se condivisa da una persona che amiamo?
Vogliamo forse disconoscere che l’amore è carnalità, passione, partecipazione, dolore, complicità, esigenza, volontà, che prende il corpo e di piu’ lo spirito?
“lo faccio per te” si tramuta in un ”lo faccio per me” perché altrimenti non vivo, non respiro, non mangio, non mi muovo. “lo faccio per te” è voler prevalere col proprio io una situazione che ci eleva (in arie non respirabili) o ci sprofonda (in acque limacciose). Entrambe le situazioni sono per il nostro essere invivibili….non perché non siamo pronti ma perché l’ostacolo è riconoscere proprio che: lo “facciamo per noi”.
Amiamo per noi, piangiamo per noi, ridiamo per noi, soffriamo per noi, corriamo per noi, per noi sempre per noi immensamente. Per noi , per amare noi stessi , perché solo amando noi stessi , potremo trovare il modo di amare qualcun altro. “Lo faccio per te” non vuol dir niente se non sottolineare il fare qualcosa per noi stessi. Qualcosa che in quel momento riteniamo indispensabile. Quanti di noi hanno sentito o hanno proferito quelle parole “lo faccio per te” ?
Quante cose e quanti amori avrebbero avuto un corso diverso se solo avessimo avuto il coraggio di dire “lo faccio per me” ?
1 commento:
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lanciallotto, come amor lo strinse:
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
esser baciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi baciò tutto tremante.
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante.
(Inferno, canto V, vv.127-138)
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