martedì 26 agosto 2008

Interpretazione della realtà: 1989


Serbia


La Iugoslavia si stava sgretolando , Milosevic si presentò come colui che avrebbe salvato l'unità nazionale, solo che intendeva farlo con il "genocidio" , il concetto era presentarsi come il salvatore dei serbi perseguitati.
Occorreva , però, che i serbi fossero perseguitati , appunto.
E se i croati e i bosniaci erano lenti di comprendonio verso questo concetto, si poteva sempre dare una spintarella!!! Un piccolo massacro locale , et voilà che la popolazione poteva rivoltarsi verso la minoranza serba, a quel punto era legittimato l'intervento dell'esercito di Milosevic per preservare tale minoranza.
Con la caduta della Iugoslavia di Tito , quale migliore alletao poteva esser per attuare tale piano se non la malavita organizzata? a questo occorre considerare anche le'norme afflusso di denaro che il regime di Milosevic ha dirottato verso le proprie tasche., quelle sue e della propria famiglia.
Lo scambio di favori era presto fatto concessioni di racket redditizi con la garanzia dell'immunità, a fronte di servigi per causare piccoli "incidenti" prendendo di mira comunità serbe per indurre la "scusa" dell'intervento.
Il regime colluso con la malavita per ottenere i suoi beceri scopi, con il plauso e il compatrimento dell'occidente, pronto a "piangere" per i perseguitati serbi.
Solo che questo non bastò , la Slovenia seguita dalla Macedonia e dalla Croazia si staccò, dopo l'accordo di Dayton dle 1995 se ne andò anche la Bosnia, e nel luglio 1999 anche il Kosovo, oltre al fatto che oramai la Serbia era distrutta a causa dei bombardamenti NATO.
Regione prevalentemente agricola il Kosovo , insieme al Montenegro, era tutto quel che rimaneva del feudo serbo della federazione iugoslava. Vi abitavano 100.000 kosovari mussulmani e 200.000 serbi.
Milosevic continuò col gioco dei "terroristi" che perseguivano la comunità serba, finchè la NATO impose un ultimatom, Milosevic non credette alla minaccia dando adito all'inizio dei bombardamenti dei caccia NATO.
Nella primavera del 1999 iniziò l'opera di pulizia etnica da parte delle truppe di milosevic, con l'ausilio di vari reparti paramilitari (malavitosi) , dando inizio all'esodo verso Albania e Macedonia di oltre un milione di kosovari. Milosevic si aspettava che l'occidente accogliesse i profughi , battendo i pugni, invece così non fù, e l'occidente dette inizio ai bombardamenti verso la Serbia.
78 furono i giorni di bombardamenti , ufficialmente la posizione della popolazione era contro la NATO, ma piano piano serpeggiò sempre più tra il popolo serbo che la causa fosse quel pazzo di Milosevic. il 3 giugno 1999 ci fu la firma dell'intesa per la fine dei bombardamenti. Le armate serbe si ritirarono con tutto l'arsenale intatto e la rabbia della popolazione cominciò a rivolgersi sempre piu' verso Milosevic, anche se quest'ultimo dava poco adito all'umore del popolo.
I principali responsabili delle persecuzioni Karadzic e il generale Mladic responsabili della strage di Srebrenica erano braccati in Bosnia . Il 27 luglio 2000 furono indette elezioni previste per l'autunno e nonostante i brogli e i depistaggi dei media e la diatriba con gli albanesi-kosovari e il tentativo di rifiutare il risultato Miolsevic perse.

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da altrenotizie.org

Le accuse contro l’occidente si fanno quindi sempre più forti e pressanti. Con la stampa che ricorda che l’occidente si è sempre caratterizzato stringendo alleanze sbagliate. L’ha fatto nei Balcani - dicono a Belgrado – con l’Esercito di liberazione del Kosovo (Uck) e lo sta facendo in Iraq, illudendosi che esista una linea di demarcazione tra il bene e il male. La situazione va sempre più aggravandosi perchè gli albanesi-kosovari si sentono protetti dall’Onu e dalla Nato e spinti, soprattutto, dalle manovre espansionistiche di Tirana. Intanto la posizione dei kosovari fedeli alla Serbia si fa sempre più complessa. I motivi vanno ricercati nella lontananza reale da Belgrado e dall’assenza di concrete informazioni sullo stato delle trattative. Tutto è affidato alla radio e alla tv dal momento che la stampa locale è in mano agli uomini dell’ex Uck e ai nazionalisti albanesi. E così se da un lato Belgrado invita a disertare le urne, dall’altro il Partito Liberale Democratico fa sentire la sua voce denunciando il pericolo di autoisolamento che corrono le popolazioni locali. Le quali, allontanandosi dalla consultazione, lascerebbero completamente agli albanesi le decisioni sul futuro del Kosovo.

Ma la posizione del “no” resta forte. Scendono in campo il primo ministro serbo Vojislav Kostunica e il presidente della Repubblica Boris Tadic i quali, pur rappresentando tendenze diverse (conservatore il primo, filoeuropeo il secondo),
si ritrovano uniti nel “no” alle elezioni. E subito devono affrontare le proteste che arrivano sia da parte dei dirigenti albanesi - che insistono nel reclamare la piena indipendenza della regione - che degli esponenti dell'Unione Europea e degli Stati Uniti i quali hanno già dato il loro avallo alla convocazione del voto di novembre. Il serbo Tadic comunque - mentre sale la tensione - lancia alcune proposte distensive. In una intervista al quotidiano di Lisbona Diario de Noticias afferma che Belgrado ''non farà la guerra'' in Kosovo. Smentisce così le recenti dichiarazioni di un membro del governo serbo, che aveva evocato l'ipotesi di un dislocamento di soldati in Kosovo in caso di dichiarazione unilaterale di indipendenza di Pristina.

Tadic precisa che quelle dichiarazioni ''sono state male interpretate''. E aggiunhe: ''La Serbia dimostrerà di essere una democrazia europea”. Comunque - ha aggiunto - “senza una Serbia stabile non ci sarà stabilità nella regione''; ed è ovvio che ''una guerra in Kosovo sarebbe uno scenario di disastro per tutti noi''. Nell'intervista, Tadic mette in guardia contro il ''precedente'' che sarebbe rappresentato da una dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo che sarebbe ''contraria alle regole del diritto internazionale'' e incoraggerebbe ''tutti i separatisti''. Ci sono ''situazioni simili'' - avverte infine l’esponente di Belgrado - ''in Bosnia, a Cipro, in Georgia, in Moldavia ed in altri paesi''.

Il fronte che si è aperto, comunque, registra anche posizioni relative a nuove trattative. Perché sono all’opera, con il diplomatico russo Aleksandr Botsan-Kharcenko (al quale il Gruppo di Contatto - composto da Usa, Russia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia ha deciso di affidare la prosecuzione dei negoziati sullo spinoso dossier) l'americano Frank Wisner e il tedesco Wolfgang Ischinger, indicati in rappresentanza rispettivamente di Usa e Ue. Ma il diplomatico di Mosca ha già fatto sapere che il Cremlino resta fermo nella richiesta di un accordo accettabile tanto dagli albanesi quanto dal governo serbo e che non intende piegarsi al tentativo di Washington e Bruxelles d'imporre una scadenza rigida alle trattative.

Intanto da Belgrado arriva un autorevole commento relativo alle prospettive di successo della nuova troika. C’è il direttore del giornale governativo serbo “Politika” - Ljiljana Smajlovic - che avanza molti dubbi sull'ipotesi di un compromesso in extremis e accusa Washington e Bruxelles di simulare disponibilità al dialogo dopo essersi già rimangiate definitivamente l'impegno postbellico - sottoscritto nel 1999 con la risoluzione Onu numero 1244 - a mantenere in qualche modo il Kosovo sotto la sovranità di Belgrado. A giudizio di Smajlovic le cancellerie occidentali sembrano voler in realtà utilizzare i prossimi mesi solo per cercare di accreditare come ''isolata'' la posizione di Serbia e Russia. In modo da poter poi giustificare il ''riconoscimento unilaterale'' euro-americano di un Kosovo indipendente.

Infine una notazione di carattere strategico-economico che viene da Belgrado e che riportiamo - come si dice in gergo giornalistico - “per dovere di cronaca”. Le fonti serbe fanno notare che attorno all’ex Jugoslavia si stanno sempre più aggirando i falchi delle grandi multinazionali. Tutti consapevoli dell’importanza di una regione dove le popolazioni della Serbia, del Montenegro, della Croazia e della Bosnia formano un mercato di circa 16 milioni di persone. E considerando anche i macedoni e gli sloveni, che parlano una lingua molto simile al serbocroato, la cifra sale a 20 milioni. Si arriva poi a 22 milioni se si includono gli albanesi del Kosovo che, pur detestando il serbocroato, lo comprendono perfettamente. In ogni caso, per le multinazionali, il semplice fatto che tutti i membri della famiglia della ex Jugoslavia si capiscano – quanto meno sul piano linguistico – favorisce la commercializzazione di qualunque prodotto. La globalizzazione, come si vede, è in marcia. Ed è questo il vero obiettivo - dicono a Belgrado - di quella distruzione sistematica della ex Jugoslavia. Il Kosovo è (per ora) l’ultima pedina del grande gioco dell’Occidente.
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Il primo atto del nuovo presidente Kostunica fu di procedere all'arresto di Milosevic.

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