giovedì 14 giugno 2012

Cul de Sac

(Alex Maclean)

Non dire gatto se non ce l'hai nel sacco

Qualcosa di anomalo , in questa folla di proposte e ipotesi per l'uscita dalla crisi. Ci sono proclami, programmi, enunciati di soluzioni , e poco velate minacce di possibili ripercussioni catastrofiche. E per altri versi , esplicite richieste di rinunce alla sovranità nazionale acquistata a caro prezzo nei secoli scorsi. 
Ai semplici , a coloro che sono lontani anni luce dai meandri finanziari, e dai calcoli amministrativi , però il tutto appare  illogico, e le strade segnalate da seguire  , si scoprono dei veri meandri inestricabili.
I professori saranno pure bravi, e tecnici, ma il contadino ha sempre avuto il cervello fino, dovrebbe essere una lezione universale. 
Un colossale e inevitabile Cul de Sac.


giovedì 7 giugno 2012

La torre di Babele

(foto di Garimar)

La comunicazione

Fogli pieni di parole, articoli, leggi,manuali, codici,  procedure, regolamenti, norme piene di parole , di formule, siamo pieni di parole che descrivono e regolano il nostro agire.
La comunicazione dell'informazione sul nostro impegno quotidiano, qualcosa che dovrebbe esser chiaro e semplice e invece assume forma di astruse frasi e citazioni di termini tecnici e avulsi da ogni contesto. 
Come possiamo esser lecitamente dediti al nostro lavoro , quando le comunicazioni che governano la nostra attività sono del tutto incomprensibili . viene il sospetto che:
 A) i vari responsabili ed esperti, ad iniziare da superpagati potenti e comandanti , non hanno la più pallida idea di cosa stiano parlando 
B) la stessa comunicazione risulta criptica , in modo da scaricare ogni responsabilità di fronte a conseguenze imprevedibili, come dire meglio coprirsi le spalle. 
Insomma, siamo in un mondo in cui il tutto e il contrario di tutto è possibile, senza che nessuno , e dico nessuno, possa un giorno responsabilmente dire : si l'ho detto io.
E' un mondo molto strano , siamo in un vivere civile dove ogni individuo vuole primeggiare, ma allo stesso tempo questo stesso individuo fa di tutto per preservare, e presevarsi , la propria integrità, e il proprio agire responsabile. In altri termini è il famoso "Io son Io e tu non sei un cazzo ", ma affiancato dal detto ben più ponderato "Non è mia responsabilità". 
Per quanto riguarda  il riconoscimento dei meriti , invece vale esattamente il contrario  "io sono il più bravo" ed è "sempre merito mio se le cose funzionano".
Siamo prontissimi tutti i giorni ad esaltare le nostre capacità, è sempre l'apparire che vince sulle nostre migliori intenzioni. Il successo , il riconoscimento che noi siamo i più bravi., e in fin dei conti quel dire oramai universale "Io ce l'ho piu' grosso" , il ribadire il proprio ego personale. 
Non è forse vero che ogni nostra lotta quotidiana è verso questo podio personale ? non è forse questo che facciamo anche nelle cose più semplici , come ad esempio comprare una macchina che sia la piu' grossa, la più potente, la migliore, la mia coppa del nonno conquistata col sudore del successo .
Siamo al solito alla mentalità ancestrale e antica, del nostro DNA, individuo che vuole esser il migliore sugli altri. Ma detto in questo modo non sarebbe neanche negativo, perchè è insito nella natura umana la facoltà di migliorarsi e migliorare anche tutti noi col proprio agire. Il problema è che in questi tempi così detti "moderni"  vogliamo la medaglia senza partecipare alla gara. Cioè vogliamo gustare il frutto senza sudare, è come se volessimo dimagrire senza impegnarci e continuando a mangiare ciò che più ci piace. 
Ma siamo ancora lontani dal nostro intimo, e ma man mano che ci avviciniamo alla nostra sfera personale le cose peggiorano, diventano paradosalmente ancor più deleterie. 
Una società che vive di "social network", a che di social hanno molto poco , mentre sono molto network, è il metodo che si impone nel nostro sistema. Su questa "network" pochi, molto pochi,  fanno una fortuna incommensurabile e basata sul niente. Incredibile ma vero , noi individui invece di sviluppare il business sul "sociale" , ci buttiamo a capofitto sul business del "network" , perchè ancora una volta, il concetto che risulta evidente è che primeggiare è meglio che collaborare, apparire è meglio di essere, guadagnare è meglio che produrre, rimpinguarsi è meglio che crescere. Anche nei rapporti più intimi non esiste comprensione, sempre più difficile intendersi, capire, sentire le parole, e ancor più i sentimenti le emozioni. Parliamo ma non ascoltiamo, scriviamo ma non leggiamo, citiamo ma non capiamo. Diciamo un semplice "ti voglio bene" e nascono tante discussioni intorno : perchè, che vuol dire, cosa intendi , come è possibile, cosa nascondi, e così via in una ridda di considerazioni e pensieri che nulla hanno a che fare con un semplice e banale "ti voglio bene". 
Siamo nel "network" e ne stiamo facendo un icona di modernità, anzi più esattamente di alternativa in uno scenario dove nessun altra soluzione appare all'orizzonte. E siamo pronti a sacrificare su questo idolo ancora una volta il nostro pensiero, il nostro agire e il nostro cuore. E ancora una volta gli esempi sotto i nostri occhi ci dimostrano tramite i nuovi (o vecchi) movimenti che proclamare e ribadire è sempre molto meglio che spiegare e programmare. Siamo pieni di buone intenzioni e sono validissimi anche questi pensieri , questi dettami, ma dimentichiamo sempre un particolare : "il come" , come ottenere quel che ribadiamo ? 
Ancora una volta si impone il "network" sul "sociale" . Puntiamo tutto sull'apparire e poco sulla sostanza .
Ci diamo aria di esser sempre più profondi  e meno ingenui, non sono forse così gli "esperti" di ogni scibile?
E quanto amiamo spacciarci per esperti di un qualcosa, il nostro ego si afferma soddisfatto. 
E' incredibile come in questa babele di comunicazione siamo immersi in una cacofonia di suoni e in un baillamme di rumori che fanno perdere il senso dell'essere vivi. Ma perchè poi, siamo davvero vivi ? Ci perdiamo perfino un semplice sorriso, e perchè no anche l'espressione contraria, corrucciata che non sempre è sintomo di esser malevolo. Quante volte , sentiamo dire e pensiamo noi stessi : " non voglio soffrire più". Ecco il punto anche nella nosta sfera intimistica è quella di dire "voglio esser felice, ma non voglio soffrire".  Anche in questo caso è come dire voglio la medaglia, ma non voglio partecipare alla gara.